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Considerazioni all’Istituto DE PACE FIDEI sull’etica della pace e la guerra in Ucraina

“La guerra in Ucraina come sfida all’etica della pace della Chiesa” (W. Palaver)

La guerra scoppiata in Ucraina alla fine di febbraio 2022 continua a provocare in noi tutti i più diversi sentimenti. Tale considerazione è stata espressa anche dai membri del Consiglio scientifico dell’Istituto ecumenico e interreligioso di Bressanone che va sotto il nome di “De Pace Fidei”, cosicché non è risultato facile trovare una posizione comune nel primo comunicato stampa uscito nel marzo scorso. A suo tempo è stata evidenziata soprattutto la sensazione di generale impotenza nei confronti di quelli che erano ritenuti i più forti, che vogliono dominare il mondo con metodi imperialistici, come pure la compassione per le vittime del conflitto, che al di là delle preghiere, deve condurre anche a forme concrete di solidarietà.
Per tale ragione ci si è posti come meta di ampliare lo sguardo e – di fronte ai numerosi focolai di violenza presenti nel mondo – di formulare considerazioni generali di etica della pace. Centrale risulta soprattutto la questione del corretto posizionamento delle religioni e in specie del cristianesimo circa tale materia. Per le considerazioni che seguono ci si è potuti basare – e di questo lo ringraziamo – su recenti prese di posizione di Wolfgang Palaver (nato nel 1958), professore di Dottrina sociale cristiana presso l’Università di Innsbruck. Si tratta di un esperto in questo ambito teologico speciale ed inoltre è Presidente di “Pax Cristi” Austria. Di seguito proponiamo allora una ponderata visione d’insieme, interpretazione e determinazione di priorità da parte del nostro Istituto.

E’ fuori di dubbio che la stabilità e la pace siano due valori fondamentali: quanto però sia duro e difficile conseguirli, lo sappiamo fin troppo bene anche noi Sudtirolesi di qualsiasi gruppo linguistico. Che dopo le due Guerre mondiali e gli anni delle bombe oggi si possa convivere in pace tra i vari gruppi etnici, si fonda su complessi processi di avvicinamento, di mediazione e di volersi adeguare, sia ‘dal basso’, grazie all’impegno di cittadini e cittadine, sia ‘dall’alto’, per l’opera di quanti rivestono responsabilità in politica. Ragionare di etica della pace ha molto a che fare anche con il tema della giustizia sociale: infatti, quanto più vigono condizioni di giustizia nelle società a livello regionale, nazionale ed internazionale, tanto più improbabile risulterà lo scoppio di conflitti violenti o addirittura di guerre. Nella guerra di aggressione da parte della Russia contro la vicina Ucraina ciò vale solo in parte, a causa degli evidenti motivi imperialistici che l’hanno provocata, cosicché la difesa militare da parte dell’Ucraina è pienamente giustificata dal punto di vista del diritto internazionale e dal punto di vista morale.
In egual misura anche per il ministro degli esteri vaticano, l’arcivescovo Paul Gallagher, è fuori discussione che il diritto dell’Ucraina all’autodifesa possa venire sostenuto tramite l’invio di armamenti dall’estero. Ciononostante il Vaticano ribadisce allo stesso tempo che non rappresenta mai una competenza (primaria) della Chiesa fornire risposte a concrete questioni di ordine militare o addirittura a questioni tecniche circa gli armamenti. Scopo e mèta delle prese di posizione ecclesiali dev’essere piuttosto quello di evitare che il genere umano ricada in vecchi schemi bellicistici, dimenticando l’importante opzione di fondo di preferire la nonviolenza. In certi casi – come quello attuale relativo all’Ucraina – ciò non esclude assolutamente che si ricorra alla reazione militare come forma di autodifesa. In tal modo si esclude un pacifismo inteso in senso fondamentalista. Al contempo dovrebbe risultare chiara la convinzione che la NATO, basandosi su di un ampio consenso sociale, debba agire in maniera ponderata al fine di evitare una escalation del conflitto, fino ad una possibile guerra nucleare globale. Dal punto di vista militare, proprio in base alle armi moderne ancor più distruttive, non è possibile realizzare tutto quanto si imporrebbe dal punto di vista morale.
Considerando la questione sulle lunghe distanze, in una prospettiva cristiana si tratterà sempre di fare tutto il possibile perché si rinunci del tutto alla guerra quale mezzo (di potere) della politica. Per tale ragione la Chiesa cattolica scongiura di non credere che un incremento delle spese per gli armamenti garantirebbe maggiore sicurezza per il futuro. Con i mezzi finanziari che si intenderebbe spendere per tale fine, i bilanci statali potrebbero realizzare cose assai più sensate ed anche agire in maniera preventiva per evitare – medianti migliori standard di vita e una più forte giustizia sociale – l’insorgere della violenza. Papa Francesco lo riassume nell’enciclica “Fratelli tutti” come segue: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e per lo sviluppo dei Paesi più poveri, così che i loro abitanti non ricorrano a soluzioni violente o ingannevoli e non siano costretti ad abbandonare i loro Paesi per cercare una vita più dignitosa.” (FT 262). Ciononostante il “Papa verde” che si impegna a favore della sostenibilità ecologica, non si stanca di ribadire anche riguardo alla tematica della pace che dovrebbero essere gli stili di vita (cristiani) quelli da cui dovrebbe partire un cambiamento. E con ciò intende anche l’assenza di violenza a partire dal livello della quotidianità locale fino a quello dell’ordine mondiale.

Ma cosa possono offrire di concreto le religioni e le comunità religiose all’etica della pace? Alcune voci critiche sosterranno che già la questione viene posta in termini sbagliati, sostenendo che sia nella storia passata che in quella presente si nota una certa affinità di fondo per la violenza. Per trovare una risposta adeguata occorre ricercare nelle religioni le potenzialità favorevoli alla pace e dove si trovino le tentazioni che portano invece ad indulgere alla violenza. Parlare di questa problematica in riferimento alle religioni, rende necessario un compromesso relativo alle grandi comunità religiose, per poter affermare che le stesse contribuiscono alla pace una volta che hanno abbandonato il consueto punto di vista antropocentrico, per prendere quale punto di partenza “lo sguardo di Dio”: dato che l’amore di Dio non opera alcuna distinzione tra gli uomini, esso rende possibile la pace. La violenza non trova fondamento nelle convinzioni religiose di fondo, bensì solo nelle loro formulazioni fondamentalistiche ed inappropriate. Il patriarca di Mosca, Kyrill I. si esprime invece per una “sinfonia” tra Stato e Chiesa e sostiene Putin, tradendo la vera ortodossia.
Se in particolare per il cristianesimo risaliamo alle sue origini, allora è dimostrato in maniera evidente che i primi due secoli della Chiesa cristiana stavano (ancora) sotto il segno dell’assenza di violenza e di una distanza dal potere militare. Determinanti a tale fine sono risultate le visioni profetiche di un regno messianico di pace nella Bibbia ebraica, nonché il discorso delle beatitudini di Gesù con l’esortazione ad amare i proprio nemici e a non reagire alla violenza con altra violenza. Dato che in tale fase storica la Chiesa era un gruppo sociale marginale e non aveva parte al potere politico, tale prassi di libertà dalla violenza potè ampiamente caratterizzare la vita di cristiane e cristiani. Con la “svolta costantiniana” il cristianesimo divenne la religione ufficiale dell’Impero romano e si trovò così portata a rinunciare all’atteggiamento nonviolento, a favore della dottrina di una guerra giusta. Non si può tuttavia già parlare di una esaltazione della violenza bellica. I secoli della crudele oppressione di chi la pensava in maniera diversa e delle efferate azioni compiute dall’Inquisizione, si trovano su un altro foglio della storia della Chiesa. L’idea legittimata da una visione politica del potere di una guerra giusta – anche se non santa – nella storia recente verrà messa in discussione al più tardi all’epoca della Prima Guerra mondiale, se non addirittura spinta all’assurdo. L’enorme potenziale distruttivo delle armi chimiche e biologiche, porta a considerare il mezzo della guerra come sostanzialmente dubbio. Questo divieto della guerra si trova anche al centro della Charta delle Nazioni Unite promulgata nel 1945 che nel suo Preambolo dichiara la determinazione a far sì “che le prossime generazioni siano tutelate dal flagello della guerra”, senza con ciò voler negare ai governi una legittima difesa della propria integrità territoriale e della propria popolazione.”
La Chiesa cattolica seguì nel complesso questa evoluzione e decretò nel Concilio Vaticano II che la potenza militare è legittimata solo in caso di difesa. Finchè infatti persisterà il pericolo di una guerra e mancherà un’autorità internazionale dotata dei mezzi per impedirla – e dopo che siano stati esauriti tutti i mezzi rappresentati da dialoghi e contrattazioni pacifici – non si potrà negare ai governi il diritto ad una legittima difesa (cfr. GS 79). Al tempo stesso ci si richiamò tuttavia in maniera più decisa anche alla tradizione di rifiuto della violenza. Così il Concilio celebrato dal 1962 al 1965 affermò per la prima volta il diritto a non prestare servizio militare e nell’ecumene cristiana dei decenni successivi la dottrina tradizionale della guerra giusta venne sostituita con quella della pace giusta. Con tale concezione viene evidenziata come fine la pace in luogo del mezzo della guerra. Alla pace giusta concorre inoltre anche la convinzione che la pace non consiste solo nell’assenza di guerra, bensì – se intesa in senso più ampio – deve comprendere anche la giustizia sociale. Si deve però anche considerare in maniera ancora più profonda come vadano letti i testi della dottrina sociale cattolica e quali compiti concreti ne derivino per la Chiesa. I testi del magistero papale non sono indicazioni politiche operative che si possano tradurre immediatamente nella prassi, bensì offrono un orientamento etico di fondo che si rivolge in primo luogo ai membri della Chiesa.
L’opzione preferenziale per la nonviolenza che determina il concetto della pace giusta, rimane valido anche in merito alla guerra in Ucraina. Sulla breve distanza la resistenza militare e il sostegno alla stessa paiono essere necessari. Le Chiese e le comunità religiose hanno però in prima linea il compito di agire per evitare una escalation del conflitto ponendosi – nonostante numerose prese di posizione dissennate che addolorano – contro una demonizzazione dell’avversario (senz’altro comprensibile dal punto di vista emotivo) che blocca tutte le vie di soluzione e rendere quasi impossibili scenari futuri di pace politica, sociale ed interpersonale.

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